presentazione
L’intento di tale opera non è quello di esibire esecuzioni di nuovi brani sulla scia tradizionale, quanto denunciare l’estinzione della musica da strada, cui fecero capo Brecht, Weill e Viviani nel costruire le proprie composizioni.
Quella musica, un tempo viva a Napoli (vedi la musica dei ciechi, le postegge, i gruppi di gavottisti, i cantastorie agli stazionamenti tranviari, i cantanti da pianino), anche viva in altre città italiane, in Francia, in Germania e altrove, oggi può ritenersi sostituita da esecuzioni ufficiali di musica leggera, come espressione di assoluta verità collettiva, imposta dall’alto.
A Napoli, nelle piazze del Gesù Nuovo e di San Domenico, meccanicamente si eseguono antichi canti sul tamburo fronne e canti a figliola ma totalmente privi di stile vocale e addirittura sostenuti da blasfemi, rigidi accompagnamenti di fisarmoniche, mentre qualche altro esecutore schiaffeggia un tamburo a cornice, spogliato della sua antica funzione di relatività ritmica.
Ma il globalizzato degrado culturale che propaganda tali modelli, li spaccia per autentici su Internet e sui cellulari ormai incorporati dai giovani nelle loro orecchie di acquirenti ubbidienti, in un sistema di potere impositivo più che fascista, addirittura nazista, dove tutto rientra nella cultura di massa, nella persuasione improtestabile.
Chi dissente non esiste, non appartiene al coro della massa, è una ingiallita e antiquata etichetta di liquore scaduto da ogni marciapiede.
“L’Opera da tre soldi” è un ricordo fossile da bancarelle d’antiquariato. Vuolsi così colà…direbbero Carmelo Bene, Pierpaolo Pasolini, il principe Antonio De Curtis con Roberto De Simone.
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